Roberto Busa, gesuita vicentino incredibile pioniere dell’informatica umanistica con l’Index Thomisticus

Roberto Busa

Roberto Busa

Lettore fermati! E’ morto padre Busa. Se navighi in Internet lo devi a lui, se usi un pc per scrivere mail e documenti di testo lo devi a lui. Se puoi leggere questo articolo lo devi, lo dobbiamo a lui…“.

Con questo attacco, forse un po’ troppo pomposo per un tipo così semplice,  l’Osservatore Romano ha annunciato nel 2011 la morte di padre Roberto Busa, 98 anni, un incredibile pioniere dell’informatica umanistica, con la linguistica computazionale. Come autore dell’«Index Thomisticus», monumentale lemmatizzazione dell’opera omnia di Tommaso d’Aquino e dei testi a lui più strettamente collegati,  padre Busa, vicentino (come Federico Faggin tra i padri del microchip) dell’altopiano di Asiago, fu anticipatore dell’ipertesto attivo di Internet 15 anni prima delle ricerche di scienziati americani.

Roberto Busa (1913-2011), che lavorò fra New York e Milano alla realizzazione di un sogno folle per l’epoca, nel 1949 compagno di studi di Albino Luciani che poi divenne papa Giovanni Paolo I, era un giovane neolaureato, con una tesi su san Tommaso d’Aquino, quando pensò che per riordinare quella spaventosa mole di testi che aveva consultato… si sarebbe potuto usare il computer! Gli elaboratori dell’epoca non erano i nostri laptop ma armadi colossali pieni di cavi e valvole, con pochissime persone in grado di interagire con la macchina.

                                                                                                                                  Un computer degli anni Cinquanta

Busa però riuscì ad arrivare con quel sogno fino all’ufficio di Thomas John Watson, il manager che fece di IBM un colosso internazionale e a cui oggi è intitolato l’algoritmo del supercervellone del cognitive computing. Sembra che pure lui al momento avesse risposto che era impossibile. Ma che fosse poi rimasto colpito dalla personalità di Busa, che al suo rifiuto, gli aveva sbattuto sulla scrivania un biglietto pubblicitario IBM con la scritta «Think». Secondo la leggenda, a quel punto Watson impressionato dalla sua personalità avrebbe dato l’ok, dopo aver però raccomandato: «Devi promettermi che non cambierai il nome International Business Machines in International Busa Machines…».

Thomas John Watson leggendario dirigente di IBM.

Busa impiegò trent’anni, il suo lavoro è raccolto oggi in cinquantasei volumi e un Index Thomisticus che si trova in parte online. Ma soprattutto, lavorò con macchine che in quei trent’anni cambiarono del tutto, dalle schede perforate ai nastri ai dischi. Affrontando e risolvendo problemi di ipertesto e rapporto fra parola e macchina almeno quindici anni prima degli inventori di Internet. Per questo fu premiato negli anni Novanta col riconoscimento che oggi porta il suo nome.

L’impresa dell’Index Thomisticus, avviata nel 1949 grazie all’aiuto di IBM, fu realizzata prima servendosi di schede perforate, poi di nastri magnetici sempre più capaci. E completata nel 1980.

Roberto Busa e l’Index Thomisticus

Nel 1998 la Association for Literary and Linguistic Computing (ALLC) e la Association for Computers in the Humanities (ACH) hanno istituito un premio, a lui assegnato per primo e poi a lui intitolato, Roberto Busa Prize che premia figure insigni distintesi nel campo dell’informatica umanistica, di cui Busa è considerato il padre.

Qui il post su padre Busa in inglese sul blog di Forbes.

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