Il Columbus Day e l’assurdo revisionismo contro la festa che celebra la fine delle discriminazioni degli italoamericani

Negli USA la campagna contro Cristoforo Colombo sembra inarrestabile: molti stati hanno convertito il Columbus Day in Indigenous Day e pure a San Francisco nei giorni scorsi la statua del navigatore affacciata sulla Baia è stata imbrattata da un vandalo con vernice rossa con una scritta contro la colonizzazione.
Ai tanti che negli USA hanno ormai consolidato l’idea che Cristoforo Colombo sia responsabile del genocidio dei nativi americani, verrebbe da dire: guardatevi in tasca. Potreste trovarvi, nelle banconote da venti dollari, l’effigie del responsabile di quello che lo storico Robert V. Remini ha definito “Uno dei peggiori crimini della storia degli Stati Uniti”.
A firmare il 28 maggio 1830, l’Indian Removal Act, che legittimò l’esproprio delle terre e la deportazione degli indiani, fu Andrew Jackson, popolare presidente democratico fra 1829 e 1837 e proprietario di schiavi. Che sulle banconote dovrebbe venir sostituito  per la prima volta da una donna: Harriet Tubman, attivista antischiavista, come annunciato dall’ex presidente Obama, cambio previsto per il 2020 ma che l’amministrazione Trump ha deciso di rinviare.
L’ottusa tendenza a valutare una persona di 500 anni con criteri del XXI secolo, rimovendo la portata della sua eccezionale impresa, non è diffusa solo in un Paese in cui a scuola si studia solo la storia americana ma coinvolge purtroppo pure diversi italiani, in patria e negli USA.
A loro tocca ricordare, come ha fatto il New York Times  in un lungo articolo ripreso dal Corriere della Sera, che il Columbus Day fu istituito nel 1892 dal presidente Benjamin Harrison per ricucire lo strappo diplomatico con il governo italiano, dopo che a New Orleans l’anno prima erano stati linciati 11 italo-americani ingiustamente accusati di aver partecipato all’omicidio del capo della polizia David Hennessy. Celebrazione che fu Franklin Delano Roosvelt nel 1937 a trasformare in festa federale.

Un’illustrazione che ricostruisce una scena del linciaggio di 11 italiani a New Orleans nel 1891

Come ricorda The New York Times,  l’ondata di immigrati che stava arrivando da tutta Europa aveva generato il panico. Bisognava porre un argine, anche se questo poteva portare ad adottare politiche più restrittive per identificare cosa significasse essere «bianco» e quindi degno di cittadinanza. E già in Italia «i settentrionali avevano a lungo sostenuto che i meridionali — in particolare i siciliani, di pelle più scura — fossero un popolo “incivile” e di razza inferiore, troppo africani per far parte dell’Europa».
Argomenti trattati anche da Gian Antonio Stella (che ha firmato la prefazione al mio libro “Italiani di Frontiera. Dal West al Web: un’avventura in Silicon Valley“) in «L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi».
Con discriminazioni in scuole, sale cinematografiche, sindacati e chiese, gli italiani venivano spesso considerati ” non abbastanza bianchi”, disposti a lavorare on condizioni degradanti simili a quelle degli afroamericani.
La strada per un pieno riconoscimento dell’integrazione e dei diritti degli italoamericani fu lunga e dolorosa e il Columbus Day è stata per anni la festa che celebrava l’inclusione e del rispetto di etnie diverse. Qualcosa da ricordare soprattutto a quei connazionali che purtroppo in patria e negli USA hanno frettolosamente aderito al revisionismo spicciolo che sta demonizzando il Columbus Day.