Peter Greenaway alla scoperta di Brancusi. Quando a Venezia 2009 mi aveva spiegato il futuro interattivo del cinema…

Peter Greenaway

Peter Greenaway

Negli ultimi anni si è dedicato ad esplorare in modo inedito capolavori dell’arte attraverso cinepresa e nuove tecnologie, convinto che il cinema tradizionale, quello di una fruizione passiva in sala, sia finito. Ora Peter Greenaway si appresta a ricostruire la vita di un grande maestro dell’arte contemporanea, il romeno Costantin Brancusi (grazie per la segnalazione a Nicoletta Iacobacci, preziosa amica di IdF, Head of Multiplatform di European Broadcasting Union e fantastica organizzatrice di TEDx Transmedia a Roma).

Un’occasione per rispolverare una delle interviste più interessanti degli ultimi anni. Era stata una chiacchierata impegnativa a straordinaria, quella con un maestro del cinema, tutto proiettato nel futuro. Greenaway  (nella foto sulla terrazza dell’Excelsior, mentre scrutava il sottoscritto…), alla Mostra del Cinema 2009, dov’ero all’epoca inviato di Reuters, l’avevo intervistato da solo, mentre altri colleghi si preoccupavano di seguire i passi al Lido di Noemi Letizia, sigh…

Il regista aveva proclamato la “morte del cinema”, come fruizione mediatica passiva in una sala buia. E’ con il telecomando, primo passo di interazione per lo spettatore, aveva detto, che è iniziata la fine del cinema come lo abbiamo inteso nel secolo scorso. E il futuro è nuove tecnologie, connettività e interconnessione, che danno a tutti la potenzialità di diventare autori e distributori. Di opere “in divenire”, che teoricamente potrebbero essere modificate ogni giorno. Sono passati tre anni e in questo mondo di media interattivi siamo immersi più che mai…

Qui sotto l’intervista di allora, dal notiziario Reuters

di Roberto Bonzio

VENEZIA (Reuters) – Il cinema come l’abbiamo conosciuto è destinato a sparire, per questo un posto come la Mostra del Cinema non ha più senso. A dirlo è un maestro del grande schermo, Peter Greenaway, in scena stasera fuori concorso a Venezia con “The Marriage”, parte di un progetto multimediale che il regista britannico ha intrapreso da qualche anno rileggendo con installazioni tra immagini, musica e sculture grandi capolavori dell’arte, dalla Ronda di Notte di Rembrandt all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci.

“The Marriage” è dedicato alla Nozze di Caana di Veronese (l’installazione a Venezia è ospitata a San Giorgio), mentre Greenaway proporrà al Lido una rilettura in una chiave inedita di quello che definisce “Live Cinema”.

“Ci sono 126 personaggi, ricostruzioni a 360 gradi… abbiamo finito questo lavoro 24 ore fa, non abbiamo ancora un film ma cinque clip associate al film”, dice a Reuters Greenaway, spiegando che con il suo “Live Cinema” si propone di riportare il mondo dei film in una sorta di ritorno alle origini, quasi circo e varietà, con un contatto rinnovato col pubblico, non più spettatore passivo.

“Sono diventato una sorta di ‘VJ’, giro il mondo e incontro grandi pubblici… con attrezzature molto sofisticate”, spiega. E si dice molto interessato a cosa il cinema sarà nel futuro. “Di certo non sarà noioso, non sarà star seduti nella sala buia con tutti che guardano in una direzione”.

“Deve diventare qualcosa di meglio. E sto cercando per quanto posso di connettere la nozione di cinema a due parole (comuni nel giornalismo): interattività e multimediale. E il cinema può essere entrambe”.

Il regista, che ha all’attivo capolavori quali “I misteri del giardino di Compton House”, “L’ultima tempesta”, “I racconti del cuscino”, è convinto che il cinema come è stato nel Ventesimo Secolo sia ormai un fenomeno superato: “I giovani non vanno più al cinema e non guardano più la tv. C’è una nuova ‘laptop generation’ che comunica con Facebook. E la nozione di cinema sta cambiando, che piaccia o meno, in una comunità … i ragazzi i film vogliono farli da soli con laptop, sta diventando un settore fai da te non più per élite, non più organizzato da Hollywood”.

“E se voglio continuare a rivolgermi al pubblico, ai giovani che davvero trovo eccitanti, devo cambiare modo di fare film. E posti come la Mostra del Cinema sono oggi una completa perdita di tempo, un’istituzione creata da Mussolini negli Anni Trenta, ora siamo 70 anni dopo abbiamo bisogno di festival?”.

L’interazione con un pubblico non più passivo, che con laptop, telefonini e YouTube può fare film costituisce per gli artisti “un dialogo molto più ricco e sofisticato … ai tempi dei romani c’era un creativo ogni milione di persone, dopo la Seconda guerra mondiale forse 250 ogni milione, oggi con laptop e videocamera può essere uno su uno. Se crediamo nella democrazia nella politica, perché non credere nella democrazia nell’arte”, aggiunge.

YouTube, Facebook e Internet sono strumenti che consentono di trasformarsi anche in distributori delle proprie opere, osserva. Fenomeno recentissimo, carico di energia. Perché “stiamo comunicando fra noi come non abbiamo mai fatto prima”, aggiunge.

E un film girato col telefonino, magari sacrifica formato e suono ma può essere inviato in pochi secondo ad un amico di Pechino. Mentre un film della Mostra, se si è fortunati, a Pechino arriva tre anni dopo.

Dobbiamo accantonare cose alle quali siamo abituati per poter sfruttare le opportunità del futuro, dice ancora Greenaway. Convinto che la fine del cinema sia iniziata nel settembre 1983, col primo telecomando, che ha introdotto l’inizio dell’interazione che il cinema non prevede.

Non si cambia la fine di Titanic, dice, mentre oggi “posso fare un film e cambiare la fine ogni giorno della settimana. Un incubo, per i distributori, che tanto sono destinati a sparire comunque”.

Ma le nuove tecnologie permettono anche di rileggere e scoprire segreti in grandi capolavori del passato. Il suo lavoro sull’Ultima Cena, ricorda Greenaway, ha individuato nella tavola una cosmografia che comprende Plutone, pianeta scoperto nel 1903, mentre le mani del dipinto, riportate su uno spartito musicale, coincidono con le note dell’antica canzone di Salomone che Beethoven riprese nell’Inno alla Gioia. Con “The Marriage”, invece, il regista avvalora la tesi che fu Pietro l’Aretino a convincere il Veronese a dipingere una scena che celava in realtà un’eresia, il matrimonio di Cristo con Maddalena.

Greenaway è convinto che siano le nuove tecnologie ad aprire orizzonti inediti all’arte delle immagini in movimento. Per questo, ai giovani attirati dal cinema suggerisce di non preoccuparsi più del cinema: “E’ un fenomeno che sta morendo. Concentratevi invece sull’imparare bene le nuove tecnologie e considerate questo secolo il secolo dello schermo ma non più quello del cinema”.

Il regista cita Umberto Eco, a proposito della fine dell’era del testo, a cui è seguita quella delle immagini. Ma questo, dice, impone di “imparare come si comunica con le immagini. Mentre molti, invece, nel campo della comunicazione visiva sono degli analfabeti”.