Manson, il sogno e l’incubo nella controcultura. Una riflessione su Linkiesta dopo “Dobbiamo tutto agli Hippie”

A pochi giorni dall’esordio a Vicenza del nuovo spettacolo “Dobbiamo tutto agli Hippie. Alle radici della New Economy”, una riflessione su Linkiesta in occasione della morte in un carcere californiano il 19 novembre 2017 di Charles Manson, che di quella controcultura ha incarnato come nessun altro il vero spirito del Male, l’incubo che si insinua nella ricerca del sogno.

“Healter Skelter”. Il titolo della canzone dei Beatles, scritto in modo sgrammaticato col sangue su un frigorifero, in quell’Agosto 1969, fece il giro del mondo. Accompagnata dalle immagini di una delle scene del crimine più agghiaccianti mai viste. In una sontuosa villa hollywoodiana a Bel Air, distretto di Los Angeles, aveva trovato la morte, assieme ad altre tre persone, Sharon Tate, bellissima attrice di 26 anni, incinta all’ottavo mese. Una carriera iniziata in Italia dov’era al seguito del padre militare della base USA di Vicenza.

Un massacro misterioso, un episodio di inaudita crudeltà. Pochi giorni dopo, le prime pagine vennero invase dalle immagini di un gigantesco raduno all’insegna di Pace, Amore e Musica. Oltre 400mila ragazzi, forse ancora di più quelli bloccati su strade e autostrade intasate, verso una fattoria a nordovest di New York City, per la tre giorni del Festival di Woodstock.
Sul come raccontare un evento di quella portata e senza precedenti, si scatenò un‘accesa polemica all’interno del New York Times. Fra editorialisti che da Manhattan guardando le foto avevano infierito scrivendo di un disastro di fango e colossali ingorghi, e inviati sul posto, che arrivarono addirittura a minacciare le dimissioni per il modo in cui i loro colleghi avevano distorto i fatti in base a pregiudizi, mentre loro erano stati conquistati dallo spirito pacifico e di collaborazione di cui erano stati testimoni, che alla fine aveva permesso di svolgere un raduno gigantesco, improvvisato e rischioso senza incidenti gravi.

La scena di un feroce massacro, un grande evento spontaneo all’insegna della pace: solo pochi mesi dopo si scoprì che immagini tanto diverse avevano una matrice comune. E fu una scoperta sconvolgente.

Se Charles Manson, scomparso ieri nel carcere californiano di Bakersfield poco dopo aver compiuto 83 anni è diventato per quasi mezzo secolo nell’immaginario collettivo un’icona pop, la personificazione stessa del Male, non è solo per la terribile crudeltà dei sette delitti commessi dai suoi seguaci (altri tre oltre a quelli nella villa di Sharon Tate, anche se lui di fatto non uccise mai nessuno) ma anche perché quegli omicidi efferati di persone scelte solo per il loro status sociale furono ispirati da un’aberrante deformazione di quella stessa controcultura che perseguiva l’utopia di un mondo diverso e migliore. Quasi che inseguire il sogno racchiudesse in sé anche l’inquietante germe dell’incubo.

Figlio illegittimo di una madre minorenne, Manson finì nei guai con la giustizia sin da ragazzino. Considerato un soggetto pericoloso in riformatorio già a diciassette anni. Ne aveva 33 quando finita di scontare l’ennesima condanna, dopo un soggiorno a Berkeley si trasferì nel cuore hippie di San Francisco, il quartiere di Haight Ashbury, fondando una comune che si ritagliò uno spazio suo in quell’incrocio di controcultura, droghe, musica ed esperienze mistiche della Summer of Love, l’estate 1967 che fu il punto più alto ma pure l’inizio di un rapidissimo declino per il movimento.

Vincent Bugliosi, che fu implacabile interlocutore di Manson come procuratore nel processo per la strage di Bel Air, scrisse che il criminale era stato probabilmente ispirato dalla filosofia della Process Church, che credeva in una riconciliazione fra Satana e Cristo alla vigilia di un’imminente fine del mondo, nella quale secondo Manson l’America avrebbe conosciuto l’Apocalisse per mano degli afroamericani, incapaci però di gestire un dopo rivoluzione, in cui un’elite di Illuminati avrebbe retto il potere. E lui ovviamente sarebbe stato uno di questi.

Satanismo, Scientology, ipnotismo Manson li aveva studiati avidamente in carcere, perfezionando una capacità di manipolazione e soggiogamento psicologico e sessuale che esercitò su un gruppo di giovani sbandati, tra cui alcune ragazze che alle spalle non avevano abusi e traumi ma famiglie della “buona borghesia”.

Quando Susan Atkins, Patricia Krenwinkel e Leslie Van Houten, tre delle “Manson’s Women” comparvero in abiti color pastello davanti ai giudici, cantando e tenendosi per mano sorridenti, nei corridoi del tribunale che le processò e condannò come esecutrici materiali degli omicidi ordinati dal loro capo spirituale, quelle immagini surreali fecero rabbrividire ancor più di quelle della villa imbrattata di sangue in cui avevano massacrato persone a loro sconosciute.


A scatenare quella follia omicida premeditata, dopotutto, era stato il veder sfumare il sogno di entrare in quel mondo dorato hollywoodiano. Manson era stato a un passo dal realizzare un disco con Dennis Wilson, batterista e co-fondatore dei Beach Boys, nella cui casa aveva incassato come musicista persino gli apprezzamenti di Neil Young, che aveva a sua volta pensato a un disco con lui.

La sua vendetta si era scatenata contro persone colpevoli solo di trovarsi nella villa di proprietà del produttore che alla fine aveva chiuso la porta in faccia a Manson. Una strage alla quale, altro aspetto inquietante, il regista Roman Polanski marito di Sharon Tate era scampato perché impegnato nella lavorazione del suo film più demoniaco, Rosemary’s Baby.

Mia Farrow in una scena di ‘Rosemary’s Baby’, 1968, di Roman Polanski. (Foto Paramount/Getty Images)

Dopo la condanna alla pena di morte, poi convertita in ergastolo, Manson registrò diverse canzoni messe in commercio e incise anche da altri musicisti. Diventando un’icona pop per quella sua combinazione di ferocia, follia, carisma e capacità manipolatorie. Con quella svastica tatuata sulla fronte, era l’immagine perfetta del Male postmoderno, per il mondo della moda, della musica, celebrata in libri, dischi, documentari e film, l’ultimo dei quali ancora in cantiere, annunciato pochi mesi fa da Quentin Tarantino.

Dieci anni dopo quel delitto, Francis Ford Coppola prendeva spunto da Cuore di Tenebra di Joseph Conrad per rievocare la delirante follia che si nasconde nei meandri della mente umana con Apocalypse Now. Solo un anno prima, in una location non meno esotica delle Filippine in cui aveva girato il suo film ambientato in Vietnam, la Guyana, il reverendo Jim Jones, altro inquietante guru di quella controcultura californiana, aveva trasformato l’utopia della setta che guidava, People’s Temple, in un incubo senza precedenti, con un suicidio di massa di oltre 900 adepti.

Il suicidio di massa nella setta del reverendo Jim Jones

Il sogno di Pace e Amore si era infranto da tempo, solo pochi mesi dopo Woodstock, nel dicembre 1969, con il tentativo fallito di replicare il festoso happening nel Festival di Altamont, con i Rolling Stones costretti a esibirsi in una situazione di violenza fuori controllo per l’abuso di droghe, culminata in un omicidio davanti alle cineprese, commesso da uno dei motociclisti degli Hell’s Angels ingaggiati come “servizio d’ordine”.

«Questo potrebbe essere il Paradiso, potrebbe essere l’Inferno», dice un verso della celeberrima Hotel California degli Eagles, metafora della trasformazione di quell’Utopia in un business dai risvolti inquietanti.

Ma è stata quella controcultura, la ricerca di un mondo migliore, a ispirare i pionieri che hanno propiziato la vera rivoluzione del nostro XXI secolo, che è quella tecnologica, con l’idea che le macchine possano essere strumenti libertari per ampliare la coscienza, la conoscenza, l’interazione fra esseri umani.