In quel film un Caos che disorienta ma allarga le Frontiere dei nostri orizzonti

 

Possibile?

Possibile che l’oblò di una lavatrice, una ciambella e un cerchio scarabocchiato con la penna evochino per la loro forma un Buco Nero che tutto risucchia, scompaginando le nostre coordinate spaziotemporali?

E che lo sconcerto di un film all’apparenza indecifrabile possa aiutarci ad allargare gli orizzonti e comprendere un futuro già iniziato, tra Fisica Quantistica, Intelligenza Artificiale e Metaverso?

Ancora ricordo il mio smarrimento da teenager all’uscita dalla sala che proiettava in prima visione a fine anni Sessanta “2001 Odissea nello Spazio”, rivisto poi non so quante volte, ogni volta scoprendo, e capendo, qualcosa di nuovo.

Sconcerto misto a incanto e ammirazione: una sensazione riprovata vedendo qualche settimana fa Everything Everywhere All at Once  firmato dai “The Daniels”  (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) ancora in diverse sale a più di un mese dal trionfo alla notte degli Oscar, in cui ha conquistato sette statuette.

 

Un capitolo nuovo nella storia del cinema con una valanga di idee, trovate e colpi di scena che ci fanno perdere la bussola, svelando l’angustia delle frontiere della nostra capacità di vedere e comprendere.

Spiazzante anche perchè a trascinarci in un vortice di storie, trovate, combattimenti in universi paralleli che ci confondono…  è una figura in apparenza agli antipodi dei supereroi: la matura titolare di una lavanderia a gettone, oppressa da crisi col marito e con la figlia lesbica, vessata da una sadica funzionaria delle Imposte (qui sotto il trailer ufficiale in italiano).

 

 

Come ha scritto Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera, la capacità di reazione mentale e visiva richiesta dal film già comincia a vacillare dopo i 30 anni … inseguendo una piccola imprenditrice che all’improvviso si scopre scienziata cuoca, attrice, amante lesbica in un Caos di universi paralleli del Multiverso in cui solo lei, per qualche strano motivo, può avere un ruolo salvifico. Per di più, quelle diverse abilità, come ha notato Rolling Stone, richiamano ruoli che l’attrice Michelle Yeoh ha interpretato in diversi film, prima di diventare, a sessant’anni compiuti, per la prima volta protagonista (mostruosamente agile e brava nei panni di personaggi diversi), in un film che come ricorda Vogue ha spazzato via stereotipi: sulle attrici non occidentali e over 50, su storie ambientate in comunità di immigrati (qui quasi tutti asiatici), sull’uso di lingue diverse e sottotitoli.

“Everything Everywhere All at Once” è l’ennesimo salutare shock alle nostre consuetudini. A questo serve l’arte: allargare gli orizzonti. Era accaduto anche più di un secolo fa, quando le avanguardie fecero strame delle linee confortanti dell’arte figurativa (da Pablo Picasso a Jackson Pollock), della musica classica (da Igor Stravinskij ad Arnold Schoenberg), persino del confine che separa spazio e tempo, con Albert Einstein. Allargando i nostri orizzonti.

Ma il filo di una trama così difficile da dipanare, sottotraccia in un diluvio di immagini e situazioni impossibili, non rimanda a un esercizio di sforzo visivo ma all’essenza di questioni esistenziali: chi siamo davvero? E chi avremmo potuto essere, in situazioni diverse che magari ci hanno sfiorato? E cosa ci salva, in questo caos, se non il valore dell’amore e dei rapporti umani?

Come nel film, che in quel Grande Caos individua in valori di solidarietà umana l’unico senso di un universo confuso, oggi più che mai i progressi della scienza e della tecnologia sono talmente spiazzanti che è indispensabile il soccorso della filosofia e delle scienze umanistiche, per interpretare la Nuova Complessità. Fiduciosi di non doverla subire ma di poterne diventare protagonisti.

(Questo post è stato pubblicato in anteprima sul blog Mork&Mindy)