Addio a Enzo Torresi, “Mr Olivetti” di Silicon Valley. Così raccontò in esclusiva a Italiani di Frontiera la sua avventura

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Per molti è stato semplicemente “Mister Olivetti” a Silicon Valley, l’uomo che come nessun altro ha gettato le basi di una stagione breve ma gloriosa dell’hi tech italiano nella culla mondiale dell’innovazione. A diversi anni di distanza, molti degli Olivetti Boys di allora sono diventati figure di primo piano e veterani della Bay Area, come imprenditori, investitori e manager.

Enzo Torresi, classe 1945, nato a Catania, laurea al Politecnico di Torino, si è spento lo scorso 19 giugno dopo una lunghissima battaglia con il morbo di Parkinson.

C’eravamo incontrati in un ristorante italiano di Los Gatos, nel 2008. Lì aveva voluto raccontare tutta la sua straordinaria storia, ci eravamo ripromessi di rivederci per una seconda videointervista, che non è mai stata fatta, perchè già aveva iniziato a star male.

Oggi la registrazione di quel suo racconto dalla sua viva voce, con sottofondo di canzoni italiane diffuse nel ristorante, ha un valore ancora maggiore. Come la foto che non molto tempo fa Enzo, che non avevo mai più sentito, mi spedì via Skype, malato, sul letto.

Ecco una sintesi del suo racconto
DALLA SICILIA A TORINO – Siciliano di origine, mi laureai a Torino nel 1969. In quel periodo c’era molta crescita e molti meno laureati in elettronica. Eravamo pochissimi, io ebbi 23 offerte di lavoro appena laureato. Il Politecnico forniva i nostri nomi a tutte le aziende: Olivetti Siemens, Telettra e Fiat, quelli che avevano una componente elettrotecnica…
Andai subito a lavorare a Ivrea.
Avevo lavorato negli ultimi due anni di Università con una società che faceva brevetti. Avevo perso mio padre a 24 anni ed ero l’unico che poteva fare qualcosa per la famiglia. Accelerai moltissimo il numero di esami per laurearmi il prima possibile… Questo torinese che mi dava il lavoro, quando mi arrivo’ l’offerta dell’Olivetti disse che l’avrebbe raddoppiata purche’ restassi con lui. Io lo mandai a quel paese, perche’ aveva dimostrato quanto poco mi avesse pagato sino ad allora. Studiavo, poi lavoravo di pomeriggio e fine a notte tarda per 120.000 lire al mese.

INGRESSO ALL’OLIVETTI – L’Olivetti me ne offrì 220.000. Io mi trasferii a Ivrea e qui avvenne una cosa molto strana. Il mio capo a Ivrea era un americano della Xerox, che Olivetti aveva assunto come capo della ricerca. A Ivrea aveva 400 persone, altre 40 nel New Jersey, a Tenafly.
Questo americano Phd era un radioamatore. Io ero cinque livelli sotto di lui e un giorno per caso ci incontrammo in un corridoio e  gli dissi che ero radioamatore come lui, Guardando nei nostri registri trovammo le rispettive sigle: ci eravamo già parlati senza sapere chi fossimo.
Questo piccolo evento risultò molto importante per la mia carriera, perchè lui mi favorì molto. “Dottor Torresi, io la porterò nel mio laboratorio nel New Jersey che è molto importante perchè penso che qui sarebbe sprecato…“, mi diceva.

COINCIDENZA FORTUNATA NEGLI USA – A quei tempi a Ivrea in mille facevano progettazione, in 400 facevamo ricerca. Resistetti lì dieci mesi, dopo di che lui mi mise su un aereo mandandomi con una scusa all’Università del Rhode Island, dove feci un corso di due mesi post graduate sulla fisica dei dispaly a cristali liquidi. In due mesi di Kingston mi resi conto che quel che volevo fare io era negli Stati Uniti.
Lui alla fine di questa permanenza mi mandò nel laboratorio del New Jersey, dove avvenne un altro caso fortuito. Il capo dei capi della ricerca e sviluppo, ingegner Pier Giorgio Perotto (già alla guida del gruppo che realizzò la P 101″Perottina”, considerata il primo personal computer ndr) venne negli Usa per approvare il budget 1971. E io mi trovavo lì in queste due settimane di permanenza… Io avevo lavorato per un po’ con i colleghi americani per fare una dimostrazione di questo display, uno schermo sul quale dovevamo far apparire i numeri di una calcolatrice elettronica. In questa riunione in cui presentavamo il nuovo prodotto del gruppo di ricerca mi disse: “Per sbrigarci perchè non me lo racconta lei cosa state facendo, invece di questi americani, che ho dfficoltà a capire cosa dicono?“. Io feci tutta la presentazione, poi la dimostrazione, l’indomani lui prima mi partire mi disse: “Sa, tutti stanno pensando di farla venire in questo laboratorio ad aiutarli in questo progetto dei  cristalli liquidi perchè ha fatto buona impressione a tutti“.
Tornai a Ivrea e raccattai tutto… avevo un figlio di un mese, Marco, ero appena sposato. E nel dicembre 1970 mi trasferii permanentemente in America.  Non so se sia stata una fuga dei cervelli ma di fatto io mi dissi con mia moglie che sarei stato infelice a Ivrea e volevo cogliere questa opportunità che mi si presentava.

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Pier Giorgio Perotto con la squadra che realizzò la P101: Giovanni De Sandre, Gastone Graziera e Giancarlo Toppi.

TEST PREVENTIVI SUI CHIP USA – Dopo due anni di lavoro, Olivetti vendette questi brevetti a Timex e Motorola. Il gruppo americano venne sciolto e io corsi il rischio di tornare in Italia.  Ma in quel periodo  in California stavano nascendo diverse aziende di semiconduttori: Intel, Motorola, Texas Instruments…. Io proposi di fare di mestiere il residente Olivetti presso queste società di semiconduttori, con cui stavamo stabilendo importanti rapporti per trasformare in elettroniche macchine da scrivere e calcolatrici che allora Olivetti faceva con lamiere stampate. Tutti concordarono che ci fosse bisogno di una persona negli Usa. All’inizio mi diedero un ufficio a New York, da dove dovevo fare il pendolare con San Francisco. Dopo un mese mi trasferirono  a Mountain View,  dove affittarono un appartamento.
Io avevo tre uffici dedicati: uno a Intel, uno alla  National Semiconductors e uno alla Texas Instruments. Era il 1973. Dopo due anni, tutti consideravano positivamente il mio esempio.
All’epoca all’Olivetti, prima dell’arrivo di Carlo De Benedetti, c’erano Marisa Bellisario e l’ingegner Ottorino Beltrami. Ci fu un successo di progettazione alla Fairchild, che fece un chip  molto grande tutto in silicio, che sostituiva tutte le componenti meccaniche di una calcolatrice, rispetto alle vecchie macchine elettromeccaniche. Olivetti mise in produzione questa macchina, tutti parlavano di questa idea di mandare un residente presso queste aziende e mi diedero carta bianca per fare altre attività.

SCONTRI CON INTEL – Olivetti stava iniziando a comprare grandi quantità di prodotti, memorie statiche da Intel soprattutto, e da Texas Instruments. Io proposi di fare un laboratorio per collaudare tutti i semiconduttori che partivano da Silicon Valley per Ivrea, come avevamo fatto in un primo test. Mi dissero ok e fecero fare un investimento di 500.000 dollari di allora per comprare due grosse macchine di collaudo dei semiconduttori. A questo punto, il gruppo divenne di venticinque persone. Il nostro mestiere era quello di confrontare i risultati dei test con le specifiche tecniche dei prodotti di Ivrea. Quindi (se risultavano incompatibilità) potevamo anche rifiutare una spedizione. Cosa che io feci un paio di volte, con Intel, suscitando reazioni risentite e quasi grane diplomatiche. Ma se il chip di memoria che ci consegnavano non passavano lo screening di Cupertino, veniva rigettato. Per Olivetti questo fu un grosso risparmio: in tempi normali si sarebbero accorti di incompatibilità  solo quando il chip era già arrivato a Ivrea, e Intel poi rifiutava di riconoscere vi fossero problemi, scaricando la responsabilità sui tecnici di  Ivrea… così invece noi controllavamo e dicevamo loro: venite a vedere il test di Cupertino, dieci minuti di macchina e vi convincerete anche voi…”. Questa operazione dei test divene un altro grosso successo di efficienza per Olivetti e mi diedero ancora un po’ più corda.

PROGETTARE IL PRIMO PC OLIVETTI – La fonte dello Unix iniziale fu all’Università di Berkeley… io presi degli ingegneri di Berkeley per lavorare su questo prodotto Unix che si faceva a Cupertino  per Olivetti, tra loro anche Gianluca Rattazzi, che era un softwarista. Avevamo assunto una decina di persone Unix con cui fare questi progetti.. Nel 1980 eravamo circa 120 tra laboratorio test e software factory. Ed avevamo iniziato a fare il  progetto della macchina da scrivere elettronica. E negli ultimi due anni anche  dell’M 20, il personal computer Olivetti. Tutto qui a Cupertino. Io venni nominato presidente dell’Advanced Technology Center… spendevamo circa 15 milioni di dollari all’anno con queste progettazioni, parte del budget ricerca e sviluppo Olivetti.

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UN’USCITA IN AMICIZIA – Quando lasciai, nell’aprile 1982, Olivetti aveva 140 persone tra Cupertino e Palo Alto, di cui più della metà americani. Gli altri erano italiani che venivano da Ivrea. Divisi in due categorie: quelii che restavano e quelli che andavano via tornando in Italia. Perchè alcuni non si adattarono mai all’ambiente Slicon Valley. Alcuni avevano la moglie che non si trovava bene in California. Ma la maggioranza sono restati ed hanno fatto altre attivita’ importanti . Come Lucio Lanza venture capitalist, Mario Mazzola divenuto poi capo di Cisco. Olivetti qui divenne la meta piu’ ambita degli ingegneri.
Perche’ me ne andai? Incontrai l’ingegner Carlo De Benedetti, era il periodo in cui nasceva il pc. Lui mi disse: “Abbiamo una posizione molto importante per lei: fare il capo della divisone personal computer. Questa è la buona notizia, la brutta è che questo posto è a Ivrea non in California…“.
Io dissi: “Guardi, credo che sia il momento per me di fare una scelta. Apprezzo molto la sua proposta ma sto pensando di mettermi in proprio, fare una società nuova,  capitalizzando tutto quello che ho imparato in dieci anni… restiamo buoni amici, la società fa distribuzione di pc quindi probabilmente riusciremo a lavorare con voi, compreremo e venderemo pc Olivetti …“.
Lui si arrabbiò un poco. Poi mi fece sapere che erano addirittura interessati a investire nella nostra società, la Businessland.

UNA VICENDA TRISTE – Quella di Olivetti è stata una storia molto triste. E’ stata distrutta dalla concorrenza. Quando è uscita dal suo mercato naturale delle macchine da scrivere e calcolatrici elettroniche, fabbricando pc e minicomputer, si è messa in concorrenza diretta con Ibm e altre aziende americane… l’ultimo atto fu l’acquisto della licenza wireless, per 750 miliardi di lire, mi pare. E divenne il primo fornitore di un’alternativa wireless nella telefonia, e così nacque Omnitel. Nel frattempo, 1994-95, Olivetti in California, che aveva circa 250-300 ricercatori fra Cupertino e Palo Alto, fu chiusa, come la parte minicomputer e pc di Olivetti che perdeva tantissimi soldi.
Oggi è facile chiedersi come mai non sia stato fatto niente per salvarla… queste cose accadono in tempi brevissimi. Dall’accusare alcuni colpi di tosse ad ammalarsi gravemente, una società ci impiega sei mesi. E nessuno capisce come mai succede una cosa del genere. Finchè ci sono vendite in corso, cash e banche… nessuno è pronto ad ammettere che l’azienda sta morendo. Poi improvvisamente i creditori si fanno avanti e si apre un precipizio… purtroppo è troppo tardi per fare qualcosa. Si erano tentati accordi con ingresso nel capitale Olivetti, prima con un gruppo francese,  poi con una ricapitalizzazione, 20% da At&T, 8% da Digital Equipment, nella speranza di scongiurare la chiusura. Ma un altro problema era che Olivetti produceva pc ed altre componenti in Italia, in enormi fabbriche,  in concorrenza con Cina, Taiwan… con i sindacati che non ti premettevano di mandare a casa nessuno… era destino che finisse così… un discorso molto difficile da fare in Italia,  quello della flessibilità…

UN PATRIMONIO ANDATO PERDUTO – Fosse successo qui in America, penso che molti progettisti di Ivrea, bravissimi e di grande valore, che ho conosciuto, in grado di fare start up, avrebbero forse potuto trovare i finanziamenti per far decollare nuove aziende. Forse il governo avrebbe dovuto favorire con partecipazioni iniziative di venture capital per non perdere questo grosso patrimonio di risorse umane. Invece, Olivetti fu lasciata letteralmente morire. Alcuni sui esperti divennero consulenti di società di Milano. E, rispetto ai tempo in cui passai io, all’inizio anni Settanta, quando era una delle città più ricche di Italia, con  iniziative culturali Olivetti, biblioteche, teatri, Ivrea si trasformò in una città fantasma.

Le ceneri di Enzo Torresi saranno deposte nella cappella privata del cugino nel suo paese natale, Pedara, sulle pendici dell’Etna, come ricorda in questa bella biografia in inglese, pubblicata sul suo blog per L’Espresso, Paolo Pontoniere, amico di Enzo e di  Italiani di Frontiera, decano dei giornalisti italiani a San Francisco.