Silicon Valley, l’innovazione… e il rugby. Cos’ho imparato da un vecchio campione che se n’è andato

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Con Lollo Levorato, durante una rimpatriata di ex del Rugby Mogliano

Proprio un mese fa “Lollo” se n’e’ andato.

Era una leggenda del rugby, Umberto “Lollo” Levorato,  il mio primo allenatore, nei tempi in cui prima a  Mogliano Veneto poi a Pordenone, la palla ovale mi ha segnato in modo indelebile. Pochi indimenticabili anni a prender botte nel fango, prima che il lavoro di giornalista mi inchiodasse alla scrivania, relegando il rugby non solo su scaffali pieni di dvd e armadi pieni di magliette, pure in un angolo del cuore e della mente. Una rimozione pronta a uscir fuori in centinaia di sogni: si gioca ma non trovo la strada, sta per iniziare ma non ho le scarpe, sono in campo ma non si comincia mai, sono nello spogliatoio e mi perdo, scendo in campo e calano le tenebre…

Credo che piu’ della mia discreta velocita’, di una certa imprevedibilita’ e di placcaggi non proprio ortodossi, di me Lollo ricordasse sorpattutto il buon contributo con la chitarra ai terzi tempi, memorabili cantate del dopo partita in overdose di birra, nei ristoranti e a volte in pullman.

Ma quando ho saputo un mese fa che la morte era riuscita a sopraffare anche uno dei fisici piu’ impressionanti che avessi visto, ho avuto un flash. Si’ certo: ricordi, emozioni incancellabili dei bei tempi. Ma qualcosa di piu’ profondo.

Tre anni fa ho cambiato la mia vita con un’avventura iniziata con sei mesi con famiglia a Silicon Valley. Facendo tutto da solo ma con una buona squadra a fianco. Indagando  nei segreti del talento italiano e continuando poi a inseguire quel talento e lo  spirito d’impresa tra gli italiani in patria, raccontando storie, suscitando emozioni. Alla fine questa avventura e’ diventata pure il mio lavoro, non più giornalista dipendente dopo 30 anni e 3 mesi…

“La prima cosa è l’odore della sifcamina e dell’olio canforato per scaldare i muscoli…”  dice Marco Paolini all’inizio del suo memorabile spettacolo sul rugby, evocazione simile a quella delle madeleinette, i biscotti che innescano la catena di ricordi di  Proust.

Quell’odore e i discorsi di Lollo negli spogliatoi sono stati l’imprinting. Certo a fare gli intellettuali schizzinosi, c’era ingenuità e un po’ di machismo retrò in quelle parole per dare la carica a 15 fra ragazzi  e uomini che dovevano affrontare una partita come una battaglia.

La prima preziosa lezione è stato il superamento delle barriere, prima di tutto sociali e culturali. In quello spogliatoio io ero uno degli studenti, appena un po’ meno fighetti di tanti altri, ma a fianco in campo avevamo impiegati, operai, portuali, persino qualche allevatore. Un altro mondo, variegato, rispetto alla nicchia di intelletualoidi di sinistra di citta’, di famiglia perbene dal quale provenivo. Tutti insieme non ad un tavolo o in un ufficio ma in un campo in cui non puoi tirarti indietro. In un gioco in cui dopo tutto lo scopo ultimo e’ quello di attirarti addosso un tipo grande e grosso, sacrificarti per liberare un compagno, passargli la palla perche’ vada in meta.

La retorica di Lollo, geometra contaminato dagli anni passati in Francia, nella culla del rugby continentale, a volte faceva storcere il naso, a noi studenti fighetti. Ma la lezione mi ha segnato, indelebilmente. Dare tutto se stesso, per la squadra e per questo sport metafora, combinando sempre l’enorme sforzo e sacrificio fisico all’intelligenza. Perche’sputar sangue senza capire non serve a nulla. E in questo slancio, un prima e un dopo gli 80 minuti in campo, in cui si cerca di capire di piu’, dei propri errori, di quello che in più avremmo potuto dare. Senza mai scuse, proteste, recriminazioni.  Buttarsi e inseguire il sogno, anche quando il successo è quasi impossibile. Come aveva fatto Lollo in quella leggendaria partita dei primi anni Sessanta a Grenoble con la nazionale, contro i francesi maestri supponenti che allora piu’ di oggi per noi erano di un altro pianeta. E il sogno della vittoria impossibile a casa loro era svanito solo all’ultimo minuto. Lollo aveva pure segnato una meta in mezzo ai pali, ai maestri. Uscendo dal campo con l’amarezza del sogno svanito ma con l’orgoglio di aver tenuto testa ai maestri, regalando emozioni ad un pubblico impazzito di gioia di immigrati italiani. Ho avuto la fortuna di filmarlo, una delle ultime volte che Lollo ha raccontato quella giornata storica, nel video qui sopra, colonna sonora d’obbligo la sua canzone prediletta, ricordo di quei tempi: “Alouette”.

Sacrificio, spirito di squadra. L’individuo che nel collettivo non si annulla, si esalta. In sintonia con le nuove frontiere della condivisione che sono il nostro futuro, così insolite, in un Paese che sembra votato all’individualismo autolesionista. Abituato a una conflittualità così esasperata dal realizzasi nella sconfitta altrui, quella che ho chiamato Sindrome del Palio di Siena, poco propenso dunque a credere che il collettivo e l’amicizia possano far miracoli, non solo nel rugby.

Lollo mi ha insegnato molto altro. Soprattutto a pensare che si sta al mondo inseguendo l’istinto e il cuore (ma sono le parole di Steve Jobs!). E   che credere fermamente in qualcosa di positivo, spirito di squadra,  sacrificarsi per gli altri per un obbiettivo comune, scateni una forza interiore che ti ripaga ampiamente delle ammaccature.

E’ solo cosi’ che si vince la paura di metter la faccia dove ci sono ampie probabilita’ di prendere un cazzotto. Anzi a volte si riesce a farlo con il sorriso.

Sono felice di aver catturato in un video qui sopra alcune immagini di un nostro incontro, ed uno dei suoi proverbiali ricordi di Francia-Italia a Grenoble. C’e’ un po’ dello spirito che ha trasmesso, a noi ormai attempati “Lollo Boys”. Che non lo dimenticheremo.

Ciao Lollo e grazie. Sono sicuro che oggi ti diverti, fra palle ovali senza piu’ fango e nuvole di “alouettes” in volo.

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