Renzo Lazzarato, manager di umili origini, uno sguardo acuto su Silicon Valley
Una Pasqua 2012 velata di tristezza per Italiani di Frontiera ed i suoi tanti amici. Renzo Lazzarato, tra i protagonisti di questo progetto, ha perso la vita in un incidente stradale non lontano da Malpensa, poco dopo essere atterrato col volo da San Francisco, assieme ai due figlioletti di 5 e 10 anni per trascorrere le feste con la famiglia, padre di origini venete poi trasferitosi a Legnano.
Renzo aveva 48 anni ed era attualmente Senior Director Engineering di Palo Alto Networks, dopo aver lavorato per colossi come Sun MicroSystems (oggi acquisita da Oracle), Microsoft e LinkedIn.
Incontrato a Silicon Valley quattro anni fa, Renzo mi aveva profondamente impressionato: per la sua originale visione di Silicon Valley, le osservazioni acute (“il successo della Silicon Valley non è legato ai risultati di una manciata di compagnie o di un insieme di tecnologie ma è basato sulla capacità di reinventarsi costantemente”), l’orgoglio delle umili radici contadine della famiglia, di cui lui, brillante studente al Politecnico di Milano, era il primo laureato.
Qui il post a lui dedicato. Ciao Renzo, non ti dimenticheremo. Un abbraccio da IdF ed i suoi amici a tutti i tuoi cari.
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Renzo Lazzarato: start up, LinkedIn e un ufficio che sta tutto nella borsa
Un ufficio che sta dentro una borsa: computer e smartphone. Una lavoro da libero professionista consulente nel software, dopo trascorsi a a Sun MicroSystems e LinkedIn. E start up pionieristiche, aziende partite senza ufficio, in sei in un motel. Dove a partire prima di tutto era la corrente.
E’ uno sguardo originale su Silicon Valley, quello di Renzo Lazzarato, radici venete, laurea al Politecnico di Milano, dodici anni di esperienza nella Baia. E qualche dubbio sulla possibiltà di trapiantare le esperienze californiane in Italia, dopo un paio di esperienze infelici.
LA REALTA’ DI SILICON VALLEY – La gente pensa che Silicon Valley sia la terra delle opportunita’. Vero. Ma bisogna capire che qui, per la mentalità protestante, non vuol dire stipendi garantiti e grossi centri realizzati dal governo per favorire l’innovazione, ma che ti sono messi a disposizione i mezzi per riuscire. Non la garanzia del successo: quella dipende da come ti dai da fare tu. “Capitale a rischio” in Italia sembra significare che qualcuno rischia soldi suoi per pagare il tuo stipendio. Qui la gente si aspetta che tu lavori notte e giorno e di solito, se sei uno dei fondatori, che ti sia indebitato per finanziare le fasi iniziale della startup.
Mio padre era nato agricoltore della zona di San Dona’ di Piave trasferitosi in Lombardia, dove e’ nata mia madre, che ha cominciato a lavorare a 14 anni. Avevamo un piccolo negozio in centro a Legnano dove tutti in famiglia aiutavano. Io al Politecnico di Milano sono stato il primo laureato della famiglia. Dopo un paio di anni in Italia come programmatore, mi sono fatto prestare la macchina da mio fratello e sono andato a lavorare per Sun MicroSystems in Francia. Poi in Germania, da dove veniva la mia futura moglie, conosciuta a Boston. Dopo quasi due anni li’ nel software per le banche, Sun che cercava esperti per la sicurezza di rete miha chiamato a Silicon Valley. Carta verde in due anni senza problemi (erano altri tempi), subito dopo le prime start up. Prima N-Able Technologies – comprata da Wave Systems, e poi Terraspring, comprata da Sun Microsystem nel 2002. Dove sono passato anch’io per due anni in Sun, prima di tornare a fare consulenze e start up. Prima Inxight software – comprata da Business Object, poi LinkedIn. Ora lavoro su dei progetti personali e faccio consulenza alle grosse compagnie per finanziare i miei sogni nel cassetto.
IN ITALIA TECNICI SOTTOVALUTATI – Mi sono specializzato nel software per Internet e qui e c’è una tale richiesta da parte delle aziende che in certe offerte di lavoro mettono anche 5.000 dollari a disposizione di chi segnala la persona giusta. In italia invece quella del tecnico è una posizione che non ha riconoscimento. Non si pensa che la persona giusta possa creare un valore immenso, mentre e’ invece quello che accade specialmente nel software. Il sistema italiano sembra ricompensare l’anzianita’ e non la contribuzione diretta al risultato finanziario della compagnia. Col software e’ diverso ed hai il vantaggio che l’hardware ti costa quasi niente. Il mio ufficio, computer portatile e telefonino, sta tutto in questa borsa.
COMPENSI E VALORE – Quando Sun MicroSystems ha comprato la start up nella quale lavoravo, anch’io sono passato a Sun, con soldi e benefit. Guadagnando più del direttore sopra di me, perchè qui ti pagano per quello che puoi fruttare all’azienda. Uno con una buona esperienza di Java guadagna sui 120-130mila dolari. In Italia invece lo stipendio corrisponde ad un titolo. Il problema è che così la gente impara a lavorare in un sistema in cui è meglio preoccuparsi di come salire la scala gerarchica, per guadagnar di piu’. E non di come sviluppare un’applicazione che e’ magari fantastica.
PRIMO IL FATTORE UMANO – Io mi occupo di problemi di software distribuito. Negli Usa tutti parlano di tecnologie, ma non tutti i problemi sono risolvibili tecnicamente… agli americani non piace sentirsi dire che non sempre c’e una soluzione tecnica, perche’ il fattore umano e’ piu’ difficile da pianificare e quantificare.. E invece è proprio così. Spesso i grossi problemi di fondo, non sono nel software ma nelle persone, nelle politiche delle risorse umane. Credono di poter costituire un gruppo e poi cementarlo. Invece la selezione è’ piu’ importante. Perche’ possono esserci due tecnici bravissimi ma incompatibili fra loro per carattere. E spesso lo stesso codice del software riflette la struttura del gruppo che lo ha elaborato. Ce ne sono di funzionali e monolitici, prodotti da gruppi con una forte gerarchia ed un leader. Altri realizzati da gruppi diversi alla fine hanno questa struttura molto piu modulare. Cosi’, spesso mi tocca spiegarglielo: voi pensate di avere un problema in questo software. Invece lo avete nelle persone che lo hanno realizzato. Anche se ve lo correggo oggi, se non cambiate le persone, avrete lo stesso problema tra 6 mesi.
START UP DAL NULLA – Ne abbiamo iniziato una … senza niente, neanche l’ufficio. In sei in un motel, spesso partiva la luce e arrivava infuriato il proprietario. Il giorno mi hanno detto: vai a comprarti il computer al negozio all’angolo. Lavoravamo all’automazione dei data center, dopo due anni e’ stata comprata da Terraspring… e in due anni siamo passati da sei a 200 dipendenti. Ancora piu’ velocemente e’ cresciuta LinkedIn, dove mi occupavo di Engineering Services, tutti i servizi per permette agli sviluppatori di creare codici di qualita in tempi molto ridotti – settimane o giorni: eravamo in 60 impiegati nel febbraio 2007. A Natale del 2007, dopo 10 mesi, eravamo 200. Un paio di mesi dopo me ne sono andato, rimanendo in buonissimi rapporti, iniziando a fare il consulente per finanziare un paio di sogni nel cassetto.
TENTATIVI IN ITALIA – Nel frattempo ho fatto qualche tentativo in Italia. Tutti molto interessati ma mi aspettavo più dinamismo e flessibilità da aziende con meno di cento dipendenti. Ma non solo in Italia. A un’azienda di Francoforte una volta ho chiesto quanto fossero flessibili sull’orario… “Molto”, mi hanno risposto, spiegando che si poteva iniziare a lavorare tra le 8.50 e le 9.10. Io che a Sun potevo lavorare tutta la notte e andare in ufficio dopo le 11 ho pensato fosse uno scherzo. La differenza di mentalita’ con l’Italia l’ho sperimentata cercando di lavorare li’ con i criteri che si usano qui. Nuova azienda da lanciare, dieci settimane di lavoro magari brutale, se non funziona pazienza. Lavoro retribuito e si passa ad altro. Ho contattato da qui un paio di studenti italiani. Colpa mia, sarei dovuto andare di persona… altro che dieci settimane. C’era luglio di mezzo, uno doveva andare in vacanza, l’altro aveva la ragazza. Errore mio. Ho cercato le persone in base alle competenze tecniche, non in base alla motivazione giusta. Silicon Valley ha questo di diverso. Che non seleziona solo in base alle conoscenze ma alla mentalità… Qualcosa sta cambiando in Italia, nell’universita’ e vedo che sono possibili situazioni ibride. Vorrei riprovare, qualcosa come Funambol, la societa’ italiana che fa qui marketing e finanza e sviluppa i prodotti in Italia. Ma e’ piu’ facile selezionare personale in base alle conoscenze tecnico che a in base al talento, alle motivazioni che è quello che ti spinge. Il talento è la capacità innata che ti consente di fare costantemente meglio della media in una certa area.
RITORNARE IN ITALIA – Per viverci, tornerei domani. Per lavorare, no. I miei genitori mi hanno mandato un libro, “Volevo solo vendere la pizza”. di Luigi Furini, sulle tragicomiche disavventure burocratiche di un imprenditore che tenta di avviare un’azienda. Mi ha fatto ridere e piangere. Perche’ se anche solo una piccola parte fosse vera, l’unica speranza e che le istituzioni dovrebbero farsi da parte e lasciare spazio alle start up senza immischiarsi… In Italia mi prendono per matto – moglie e due figli, col mutuo da pagare, a 40 anni, invece di tenermi stretto il posto ho deciso di riprovare la strada delle start up. In Italia potranno esserci in futuro maggiori opportunita’ ma non credo che il modello Silicon Valley sia esportabile. Perchè credo che lì non interessi questo modo di vivere… perchè qui il lavoro ti realizza, ti definisce, tu sei quello che fai e ti da’ soddisfazione. Senza questa motivazione non si capisce come faccia la gente a provare e riprovare …E le start up si bruciano in fretta. Perche’ un venture capitalist punta su dieci ma non ha senso per lui averne otto che vanno benino e crescono un pochino, deve trovarne due che fanno boom e far morire in fretta le altre, riciclando le persone che hanno imparato da quell’esperienza. Dinamismo, rapidita’ di cambiamento… nella valle sono poche le aziende che durano 15 anni, non esiste una situazione di successo statica. Se sei il numero uno al mondo, domani vai al lavoro e devi cambiare. Il successo della Silicon Valley non è legato ai risultati di una manciata di compagnie o di un insieme di tecnologie ma è basato sulla capacità di reinventarsi costantemente.
Non e’ possibile portare l’esperinza della bay area in Italia. Non esiste l’ecosistema (angeli, investors, venture capitals) ne’ la cultura (universita’).
Avete visto la posizione in classifica del politecnico di Milano (intorno all cinquecentesima) in termini di poubblicazioni scientifiche (e quindi prestigio)?
Salve,
mi chiamo Fabio Ricci e ho fondato Objlab, start up a Reggio Emilia. Purtroppo concordo con Lazzarato: in Italia non c’è la mentalità per poter fare hi-tech, si pensi alle banche che preferiscono finanziare 1000000 di euro per l’acquisto di un tornio piuttosto che dare 50000 euro per pagare licenze sw e un contratto a termine per lo sviluppo di codice.
Siccome sto decidendo di lasciare questo paese, sarei assai interessato a contattare Lazzarato per avere consigli, dritte e – perchè no? – offrirgli la possibilità di collaborare.
Fabio Ricci
mail: fabio.ricci@berman.it
fabio.ricci@objlab.it
Confermo: più che l’infrastruttura (qualche investitore c’è, ma puntano sul sicuro e quindi evitano le innovazioni come la peste preferendo i siti di suonerie) manca in assoluto la mentalità e la cultura giusta.
Io credo (a differenza di chi ha commentato prima di me) che in Italia ci sia la possibilità di iniziare ‘un qualcosa’ che col tempo potrebbe diventare qualcosa di simile al modus operandi in Silicon Valley.
Ovviamente non si può pretendere da un giorno con l’altro la situazione italiana cambi di netto, ma ultimamente c’è una vitalità (finanziaria, tecnologica, etc) che fino a qualche anno fa era impossibile anche solo immaginare.
Non voglio dire che entrando in una banca e chiedendo dei soldi per fare business in campo tecnologico si ottenga qualcosa, ma se l’idea è davvero buona e ci sono tutti i presupposti perché l’attività abbia successo sono convinto che si possa trovare un finanziatore.
C’è un MA che è grosso come una casa però, l’idea è davvero buona?
Ho partecipato a parecchi eventi in cui venivano presentate idee e onestamente se fossi stato un investitore avrei scommesso su ben poche. Prima di andare in giro a chiedere soldi bisogna fare ‘i compiti’ e bisogna farli in maniera brutale. Per quanto possa piacere un’idea (è tua, ci credo che ti piace) si deve riuscire ad essere critici e analizzarla obiettivamente. Se sta in piedi sulla carta allora si può andare in giro a cercare fondi (e ripeto, secondo me c’è modo di trovarli), ma se già dalla carta si capisce che qualcosa non torna è inutile insistere e poi lamentarsi perché ‘in Italia non c’è la mentalità’.
Insomma, secondo me se l’idea è valida e sta in piedi ci sono molte opportunità per avere accesso al credito. In caso contrario fatevi sempre la domanda “se qualcuno mi presentasse questa idea, ci rischierei dei soldi?” … se siete onesti con voi stessi molto spesso la risposta sarà ‘no’.
Davvero prezioso per Italiani di Frontiera questo contributo. Molte grazie Simone. Il tuo è molto più di un commento e IdF vorrebbe svilupparsi proprio in questa direzione: fare delle storie di ieri e di oggi un’occasione di riflessione, confronto e dibattito, tra Italiani di Frontiera all’estero e in patria, per prepare meglio il futuro.
Oh, se ce n’è bisogno…
Grazie Roberto per l’articolo, interessante!
Non è l’idea iniziale a fare la differenza secondo me, quanto la realizzazione in sè del prodotto/servizio, e qui entra in gioco il fattore umano come dice Lazzarato: anche se l’ecosistema non è favorevole se si lavora con la motivazione giusta ci si spiana la strada da soli, compreso l’ostacolo burocrazia..
L’esempio dei tentativi in Italia di Lazzarato è lampante in questo senso!